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Ogni tanto torno a scrivere del mio rione, il primo di Roma, il cuore della capitale, che in parte la rappresenta nella sua interezza: un luogo di convivenza tra l’antico e il moderno.
Monti è diventato negli anni un posto dove vedersi con gli amici la sera, mangiare qualcosa o semplicemente sorseggiare un aperitivo in piedi in una delle sue piazzette o tra i vicoli che lo caratterizzano.
I suoni e le immagini cambiano radicalmente tra la mattina e la sera: il silenzio sornione alla luce del sole lascia il posto al frastuono delle tante chiacchiere illuminate dai lampioni notturni.
In parte cambiano anche le persone che ne percorrono le strade che di giorno sono residenti e di sera vengono da altri quartieri o altre città.
Ovviamente nelle sere dei fine settimana le piazze e i vicoli si riempiono più del solito e il vociare si prolunga fino a tardi, talvolta degenerando in urla e schiamazzi.
Con le recenti disposizioni le strade e le piazze si sono anche popolate di tavolini di ristoranti e bar, con una drastica riduzione dei parcheggi per i residenti.
Ieri sera ho scattato una foto dopo mezzanotte (in calce all’articolo) e da questa vorrei fare delle riflessioni da condividere con chi le leggerà, che inviterò a commentarle sui social.
Un centinaio di persone affollano la piazza in quello che credo si possa definire un assembramento. Chiacchierano in gruppi di quattro o più. Mascherine posizionate in modo corretto credo non più di una decina.
Fuori dall’inquadratura, nella via che porta alla piazza, i ristoratori stanno rimuovendo i tavoli ormai quasi tutti liberi.
Mentre chiudo le finestre per ridurre il rumore e sperare di riuscire a dormire mi chiedo cosa sia giusto fare.
Forse dovrei chiamare le forze dell’ordine e segnalare l’assembramento che è una costante nelle sere dei fine settimana, ma non lo faccio, sia per non penalizzare tutte queste persone che stanno passando un momento spensierato, sia per non rischiare che ci siano conseguenze per i gestori dei locali, che hanno avuto mesi di difficoltà e ora sfruttano l’estate per cercare di guadagnare qualcosa con i tavoli all’aperto.
Insomma cerco di avere un po’ di buon senso e lascio correre.
Però mi chiedo perché anche quelli che in questo momento sono sotto il mio balcone, per piacere o per lavoro, non facciano delle scelte altrettanto sensate, i primi rispettando le regole del distanziamento e della mascherina, i secondi evitando di occupare con i tavoli perlomeno il posto dei disabili e non somministrando alcolici quando le norme lo vietano.
Non so se l’ho ascoltato o sognato, ma stanotte ho sentito un coro che intonava “Ma che ce frega ma che ce ‘mporta”, che profeticamente ha risposto a tutte le mie domande su ciò che pensano quasi tutti quelli che di solito sono sotto il mio balcone.
Nel frattempo molti di quelli che come me faticano ad addormentarsi, devono rinnovare il permesso ZTL scaduto e non trovano un posto per l’auto per la presenza di tavolini o di auto di non residenti ai quali il parcheggio sarebbe vietato.
Temo che avere buon senso e tentare di salvaguardare il prossimo con una giusta dose di altruismo non sia un viatico per il benessere, almeno qui a Roma, dove “La società dei magnaccioni” di Lando Fiorini più che una semplice canzone, è una filosofia di vita.