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Quando chiedo a mia figlia se abbia studiato o meno, lei spesso mi risponde: “la so, la so!”. Genericamente mi fido delle sue parole e lascio che se la cavi da sola, altre volte le faccio qualche domanda sulla lezione. Capita che le risposte siano frammentarie o talvolta totalmente assenti e allora le chiedo:”Come è possibile che tu sia convinta di sapere la lezione quando non sai dirmi nemmeno una cosa così ovvia?”.
La domanda è chiaramente retorica, perché il mio fine è spiegarle che ciò che lei ha stimato essere sufficiente, non lo è affatto.
Di fronte a un’adolescente questo atteggiamento non mi meraviglia: sovrastimare la propria preparazione significa potersi dedicare ad altre attività più interessanti, o, ancora più semplicemente, la risposta iniziale è dettata da una bugia confidando in assenza di verifica.
Questo tipo di atteggiamento negli adulti è al contrario inaccettabile, in quanto palesa presunzione e approssimazione, la cui miscela meriterebbe un girone dantesco specifico, sebbene tra l’ottavo e il nono cerchio ben più di una bolgia potrebbe già ospitarli.
Eppure l’abitudine è frequente e in particolare si manifesta sotto gli occhi di tutti, anzi, più cresce il numero degli spettatori, maggiore è la possibilità che accada.
E’ evidente che le conseguenze non sempre siano nefaste.
In presenza di un calcio di rigore, qualcuno che si arroga il diritto di tirarlo perché “lo so fare!”, al più causerà la sconfitta della sua squadra.
Se invece la stessa frase la pronuncia un Presidente di uno stato, di una regione, di una provincia, qualcuno in grado di decidere il destino del prossimo, che succede?
Credo che quest’anno ce lo abbia spiegato in modo inequivocabile, mostrandoci in tutto il mondo le conseguenze nefaste di una classe politica impreparata di fronte ai tanti temi che la pandemia ha portato alla ribalta.
Eppure questi signori in giro per il pianeta, salvo alcune eccezioni, non sono seduti di fronte ai bottoni per caso, sono stati messi lì in seguito a elezione, sono stati scelti dalla gente.
Di fronte alla loro palese incapacità è inevitabile chiedersi come sia stato possibile.
Tutto ciò accade solo in politica, infatti nessuno si sognerebbe di scegliere un calciatore scarso per la propria squadra del cuore, di essere attratto da un film con attori modesti, di andare in un ristorante con un cuoco incapace.
Com’è possibile che invece si votino persone senza meriti particolari?
Al classico sistema di potere che porta in alto una ristretta cerchia di persone, a prescindere da meriti e capacità, ma solo per il loro essere parte di un gruppo, si è affiancato in questi ultimi anni il voto dell’ “uno vale uno”, in cui non si vota per merito ma per similitudine.
Quindi mentre negli esempi sopracitati scegliamo la qualità, nella politica scegliamo ciò che ci assomiglia o che la pensi come noi, quale garanzia di assistenza e cura per i temi a noi cari.
Per tornare però al tema originale, mi chiedo con quale presunzione queste persone si candidino; perché non si guardino dentro e socraticamente confessino di sapere di non sapere.
La risposta ce la danno gli psicologi Dunning e Kruger, che hanno elaborato la teoria omonima che spiega come le persone poco esperte in un campo tendano a sopravvalutare la propria conoscenza, peraltro sfociando nella supponenza, mentre coloro che sono realmente competenti tendano a sottovalutarla. 

L’incantesimo funziona all’incirca così:
A una trasmissione televisiva ci sono come ospiti un politico e uno scienziato, il tema è ovviamente di tipo scientifico.
Il primo parla con tracotanza, alza la voce, lascia poco spazio all’interlocutore, è sempre fermo nelle sue conclusioni.
Il secondo non esprime giudizi, annovera dati, elenca studi e lascia spazio al dubbio(lui Socrate sa chi sia) e anche all’interlocutore.
Il primo dirà le cose che lo spettatore vorrà sentire e che i suoi collaboratori hanno identificato sui social prima della trasmissione.
Il secondo dirà la verità.
Il primo diventerà Assessore alla Sanità della regione più importante d’Italia.
Il secondo continuerà a guadagnare uno stipendio da fame come ricercatore.