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Credo che questa pandemia sia una grande sconfitta per l’umanità.
Sebbene la frase possa sembrare un po’ troppo solenne, penso sia commisurata agli avvenimenti. Forse avrei potuto solo diminuirne l’intensità non dandole l’esclusiva, ma aggiungendo un’ “altra”, perché effettivamente non è l’unica.
Scrivo ciò perché è una dimostrazione inequivocabile di come anche alcuni valori fondamentali, come la salute e la sopravvivenza, siano in una condizione subordinata nei confronti dei profitti. Di certo non è una scoperta recente, perché da sempre nel mondo lasciamo che muoiano persone quando ci sarebbero i mezzi per occuparsene. Però in questo caso gli eventi sono più eclatanti, perché non coinvolgono solo una parte del mondo, come sempre accaduto, ovvero quella povera, ma investono il globo nella sua totalità.
Comprendo che questo discorso sia poco equo e forse un po’ banale, perché un principio dovrebbe essere valido sempre e non solo quando ci coinvolga in prima persona, ma l’evidenza dei fatti risulta tale in quanto il bilancio delle scelte include i protagonisti.
Non entro nel merito delle scelte politiche delle nazioni, sebbene scriverò anche di quelle più avanti, ma rivolgo la mia attenzione ai principi di base che dovrebbero essere fondanti per una comunità. Di fronte a un male che colpisca il mondo intero e che, oltre a mietere vittime, fermi gran parte dell’economia, impoverendo le persone e limitandone in modo più o meno importante la loro possibilità di vivere dignitosamente, coloro che hanno la possibilità di guarire tutto ciò non dovrebbero fare tutto il possibile per salvare se stessi e i loro simili?
Non si dovrebbero ignorare i profitti e mettere le conoscenze a disposizione di tutti per “guarire il mondo”?
O, se anche non si volessero perdere di vista i guadagni, non si dovrebbero cercare delle azioni che possano comunque massimizzare il beneficio della cura?
Ha veramente senso parlare di brevetti, di vendite, di transazioni commerciali di fronte a una catastrofe?
Una comunità dovrebbe avere lo stesso istinto di sopravvivenza di un singolo. Ora è evidente che non sia così e lo sappiamo per certo, perché non siamo di fronte alla morte di bambini lontani nello Yemen, ma sentiamo le ambulanze sotto casa e leggiamo le cronache di casa nostra.
Se quindi la finanza ha preso il dominio del mondo, forse gli stati dovrebbero agire con azioni politiche che possano fissare regole eccezionali per fronteggiare eventi come quello pandemico che stiamo vivendo. Invece tra gli Stati e le industrie farmaceutiche sono nate trattative commerciali ordinarie fatte di contratti e di acquisti. Intendiamoci, non penso si dovessero commissariare le società e obbligarle a lavorare gratuitamente, ma perlomeno costringerle a scelte in merito alla produzione e alla condivisione. Non avrebbero dovuto fare beneficienza, soltanto trovare il modo di massimizzare la produzione rivolgendosi a terzi, condividere con le istituzioni i costi di ricerca e sviluppo e fissare dei limiti sui guadagni. Invece non è accaduto nulla di tutto ciò e le famigerate Big Pharma si sono trovate addirittura in una posizione dominante rispetto agli stati, impugnando contratti privi di garanzie e posticipando le forniture a loro piacimento, con priorità non condivise ma decise unilateralmente.
Qualcuno potrebbe obiettare che questo discorso lo si potrebbe fare per tutte le malattie mortali o addirittura estenderlo spiegando la necessità di una sanità e di una medicina totalmente controllate dagli Stati. Io non arrivo a tanto, perché credo che gli investimenti privati possano essere più efficienti, ma che ci sono delle eccezioni e una pandemia, il cui nome è autoesplicativo, è di certo una di queste.
Come ha detto saggiamente Claudio Baglioni, ospite qualche sera fa a Otto e Mezzo, tutti confrontano questa pandemia a una guerra, ma, dai racconti di chi l’ha vissuta, il conflitto bellico e il periodo successivo sono stati caratterizzati da un grande spirito di solidarietà e cooperazione, che sembra mancare completamente nel mondo e nel momento odierno.
In merito a tutto ciò che ho scritto, è illuminante l’intervento della politica francese Manon Aubry al Parlamento Europeo.
Qui non si tratta più di essere di sinistra o addirittura comunisti, ma semplicemente di rimettere in ordine le priorità di un mondo che le ha smarrite.
Questa pandemia deve essere un’opportunità di cambiamento e di comprensione, quindi non si deve solo cercare di ristabilire l’ordine pregresso, se la pandemia stessa ce ne ha mostrato i limiti e gli errori.
Mi piacerebbe immaginare un futuro in cui se il sole diventasse troppo caldo, non ci fossero brevetti sugli ombrelli in amianto e non si potessero comprare su Amazon, ma richiederli gratuitamente con le sole spese di spedizione!