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La mia casa si affaccia su una piazzetta al centro di Roma, scrivevo qualche settimana fa.
Dopo un paio di mesi di silenzio, è tornata quella di prima: a mezzanotte si festeggiano compleanni, si stappano bottiglie e si chiacchiera fino a notte fonda.
Torno a scriverne perché un paio di giorni fa La Repubblica ha dedicato una pagina nella Cronaca di Roma al Rione Monti.
All’articolo del giornalista Luca Monaco è stato affiancato un pezzo della scrittrice Antonella Lattanzi.*
Il Rione ha subito una metamorfosi negli ultimi anni, diventando destinazione trendy per gli amanti delle “apericene”, dei mercatini shabby chic e degli Spritz cash & carry.
Al tempo stesso la sua posizione molto centrale ha svuotato gli appartamenti di residenti per riempirli di turisti mordi e fuggi.
Durante il lockdown tutto è apparso molto evidente, il Rione era infatti privo di vita, non solo nelle strade ma anche dentro i palazzi bassi che lo disegnano.
Oggi è tornato ad animarsi nelle strade, con quella che ormai comunemente viene chiamata Movida, che in assenza di turismo, rimbomba nelle camere vuote dei tanti bed & breakfast.
L’articolo del quotidiano titolava “Tornate o il rione muore” e inanellava una serie di interviste a operatori commerciali e a una artista residente.
Il focus era sulla necessità di tenere in vita le realtà commerciali per far sopravvivere il rione, ma quali sono queste ultime?
Cambiate in virtù della richiesta, sono per la gran parte attività di somministrazione, che danno la possibilità di mangiare(e bere) qualsiasi cosa si possa immaginare, spaziando dall’avocado al cibo hawaiano: dei classici per Roma.
Eppure la domanda sorge spontanea: un quartiere ha bisogno di visitatori per rimanere vivo? Non gli sono sufficienti i residenti? Non si sono forse commessi degli errori nel tempo nella gestione delle dinamiche sociali, abitative e commerciali?
Ovviamente l’ultima domanda è retorica e il rischio che si corre è lo stesso di Venezia, che sta affogando in un’acqua che non aveva mai visto salire: l’assenza di turisti.
A Monti coloro che resistono pagano un prezzo in denaro (Permesso ZTL) e incontrano difficoltà nella vita di tutti i giorni: servizi più limitati, costi più elevati, sonno disturbato, solo per citarne alcuni.
Si sarebbe dovuto mediare per tempo tra le esigenze dei residenti e degli avventori, facendo tesoro di altre esperienze sul territorio come Trastevere, affinché non si perdesse l’anima del Rione che è gran parte del suo fascino, a prescindere dal cioccolato vegetariano o dal maritozzo con le alici.
Un passaggio dell’articolo mi ha colpito e spiega più di qualsiasi altro cosa è diventato oggi Monti:
“Così il rione caro a Monicelli aspetta con il fiato sospeso il ritorno del pubblico.”
Nella mia piazzetta non si vive più, ci si incontra, provenendo da altri quartieri, città, nazioni. Si mangia un gelato, si beve una birra, si fanno due chiacchiere e poi ognuno torna a casa sua. 
La vita è dietro le persiane che affacciano sulla piazzetta, dove quelli come me attendono che le persone tornino a casa per poter finalmente dormire tranquilli.
Rimaniamo o il rione muore.

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