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Ci sono ragazzi seduti su una strada che bloccano il traffico, altri che lanciano secchi di vernice su quadri (coperti da vetri) e su edifici importanti come la Scala o altri ancora che manifestano contro la l’estrazione del carbone in Germania.
Gesti diversi con la medesima finalità: attirare l’attenzione dei mass media e conseguentemente della gente sulla crisi climatica.
Sembra incredibile che si debba tirare un secchio di vernice su un Van Gogh per richiamare l’attenzione su un qualcosa che è già evidente e le cui conseguenze sono nefaste per il pianeta e per l’umanità che lo vive.
Un po’ come soffiare in un fischietto durante una tormenta per avvisare tutti della tormenta stessa e del tifone che è abbastanza visibile in lontananza.
Eppure ciò che a molti appare ovvio per tanti altri non lo è. Per assurdo, coloro che potrebbero notare in modo più evidente il cambiamento climatico, perché hanno un’esperienza dettata da un elevato numero di anni trascorsi, sono coloro che se ne preoccupano meno o addirittura per niente.
Un’analisi sommaria potrebbe far pensare che il problema non li tocchi perché la loro vita finirà comunque prima di quella del pianeta o contemporaneamente, ma è evidentemente un pensiero errato credere che un padre o un nonno non abbia a cuore il futuro di un figlio o di un nipote, quindi le ragioni devono essere necessariamente altrove.
Certamente la consapevolezza che le modifiche da apportare al sistema siano radicali e strutturali, quindi richiedano una sorta di rivoluzione, potrebbe essere una delle ragioni per cui padri e nonni non prendono a cuore il problema, inariditi dall’aver visto fallire tutti i loro ideali.
D’altronde come riuscire a credere che i governi del mondo si possano coalizzare in una battaglia difficile per il bene di tutti e non dei singoli, dopo aver assistito per decenni a guerre, operazioni finanziarie, fame nel mondo, e tante altre disgrazie causate dalla scellerata mano umana?
L’altra causa potrebbe essere diametralmente opposta, ovvero confidare sul fatto che alla fine l’umanità troverà una risposta anche a questo, forti dell’esperienza dei successi dell’uomo, che in un modo o nell’altro se l’è sempre cavata.
Dall’altra parte della barricata ci sono i giovani, che percepiscono un pericolo grande, sono fuori dai centri di potere e non hanno strumenti per far sentire la loro voce, se non questi modesti gesti di guerriglia pacifica e innocua.
Gli sguardi di queste due generazioni non si incrociano, gli anziani guardano al passato disillusi o fiduciosi, i giovani guardano al futuro terrorizzati. Resta il presente, di cui si preoccupano i governi, bisognosi di far quadrare i bilanci energetici e di non perdere consensi, perché, inutile negarlo, i voti si prendono garantendo il presente e non promettendo il futuro.
Siamo quindi di fronte a un’inconciliabilità generazionale e dei tempi; il passato, il presente e il futuro sono epoche radicalmente diverse tra loro, in cui le persone a seconda della loro età e del loro ruolo trovano dimora.
Gli anziani si rifugiano nostalgicamente in un passato in cui trovano le risposte, i giovani corrono nel futuro e scoprendolo incerto lo combattono nel presente, dove i governi si preoccupano che tutto resti in equilibrio, incapaci di una rivoluzione strutturalmente complessa e forse impossibile per la sua necessità di essere globale e unanime.