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A Roma l’anno è nato avvolto nella nebbia.
Un fenomeno raro e per alcuni versi inquietante per le molteplici metafore in grado di raccontare. 
Tante microgocce d’acqua, grandi millesimi di millimetro, si sono formate a poca distanza dal suolo limitando la possibilità di guardare più lontano e bagnando ogni cosa.
Microgocce o in inglese droplets, termine divenuto famigerato negli ultimi due anni, veicolo della pandemia e motivo per cui ci siamo dotati di mascherine e ci hanno insegnato il distanziamento sociale.
L’impossibilità di guardare più lontano, pensando al tempo e non allo spazio è anch’essa una sensazione molto familiare della storia recente.
Infine questa capacità della nebbia di bagnare ogni cosa e di riuscire a tenerla fuori solo chiudendosi in casa mi riporta alla mente l’emozione principe della contemporaneità.
D’altronde l’anno può solo iniziare come finisce il precedente, infatti la nebbia li ha collegati senza soluzione di continuità, quasi a volerne confondere i confini e a limitare le aspettative sul nuovo arrivato.
Eppure guardare lontano non è così indispensabile per andare avanti, è sufficiente vedere a qualche metro e muoversi forse con un po’ di prudenza per arrivare comunque a destinazione.
Se fosse altrettanto per il tempo? Se non fosse necessario avere consapevolezza di ciò che sarà più avanti per vivere comunque al meglio il presente?
D’altronde, come ci ha raccontato Giorgio Parisi, Premio Nobel per la Fisica: “Per quanti sforzi possiate fare per prevedere il futuro, il futuro vi sorprenderà”!
Allora si potrebbe badare meno al futuro e considerare “la vita un viaggio e non una destinazione”, come diceva il filosofo americano Ralph Waldo Emerson, padre del pragmatismo, movimento che metteva in primo piano l’attività concreta rispetto alla teoretica astratta.
Nel nostro voler conoscere il futuro e poterlo programmare è forse anche insito il bisogno di controllo che caratterizza l’uomo e che mai come in questo momento vacilla.
L’idea antropocentrica del mondo è venuta a cadere sotto i colpi di un essere vivente invisibile, che manifesta il suo istinto di sopravvivenza generando varianti che infettano l’uomo e lo fanno riprodurre.
Finora abbiamo creduto che il pianeta fosse di nostra proprietà esclusiva, modellandolo alle nostre necessità, spesso errate e senza prospettive.
Abbiamo innescato una crisi ecologica di complessa soluzione e di grande gravità, ma ognuno di noi si preoccupa di non sapere se poter andare in vacanza da qui a qualche mese.
Ovviamente non è possibile e sarebbe banale responsabilizzare i singoli del destino del mondo, la mia è soltanto una provocazione per sottolineare che le incertezze sul futuro sono molto più ampie di quelle che il virus ci ha mostrato.
Quindi non ci resta che vivere il presente al meglio, ma facendo attenzione che le nostre azioni rendano possibile il futuro e non in modo noncurante del domani perché di questo non “v’è certezza”.
Di certo un virus può distruggere il futuro del mondo, ma se quel virus fosse l’essere umano e non il covid come ci stiamo raccontando?