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La convivenza con la pandemia ha spostato la percezione della normalità in un nuovo territorio, creando una distinzione abbastanza netta tra il prima e l’adesso. Chiunque di noi ha provato la sensazione di vedere un film in televisione e chiedersi come sia possibile, o almeno percepire come “strano”, il fatto che le persone siano vicine tra loro, in numero elevato e senza mascherina. La normalità di prima ci risulta diversa e non contemporanea. La si guarda con un mix di speranza, nostalgia e dubbio. Ci si chiede, forse ora un po’ meno con l’arrivo dei vaccini, se tornerà a essere il presente e soprattutto il futuro.
I film realizzati nell’ultimo anno, così come i libri, le fiction e le serie tv, hanno fatto una scelta netta di ignorare il presente e di continuare a raccontare il mondo senza pandemia. Probabilmente nel futuro, quando tutto ciò sarà divenuto storia, potremo assistere a qualcosa di diverso con il giusto distacco che lo renderà fruibile senza essere inopportuno.
Oggi, nella volontà comune e diffusa di pensare ad altro, non sarebbe di certo una scelta di successo andare a raccontare la contemporaneità. Al tempo stesso, è innegabile che nessun racconto riuscirebbe comunque a isolare se stesso dalla storia più ampia dell’umanità che lo incapsula in quel momento e ciò ne renderebbe complessa la compiutezza. Immaginiamo un giallo o una storia d’amore, indipendentemente dall’epilogo positivo, rimarrebbe un grande punto interrogativo di fondo, che inevitabilmente aleggerebbe sul lettore o sul telespettatore, con la forza di rimanere vivo dopo il termine e in parte oscurare la narrazione stessa.
E allora eccoci di fronte a un anno vuoto di contenuti, che riempiremo nel futuro, come è già accaduto per i momenti di guerra. Esiste evidentemente un’eccezione storica che la maggior parte di noi vive per la prima volta e che consiste in una separazione netta tra la cronaca e il racconto, in cui, nella prima esiste un evento così grande da schiacciare tutto il resto, nel secondo un bisogno di evasione e di completezza che non permette di narrare la prima.
Scritta così sembra semplice e in parte scontata, qualcosa che possa interessare e coinvolgere solo sceneggiatori e scrittori, in realtà è un tema più vasto che, sotto forme diverse, coinvolge ognuno di noi: tanti fanno attenzione ormai da tempo a ridurre la dose giornaliera di notizie e molti cercano di parlare di altro nelle loro telefonate con amici e conoscenti.
Anche ognuno di noi vive una storia, anch’essa contenuta in quella dell’umanità e quando quest’ultima entra in un limbo con contorni indefiniti, come quello attuale, la vita dei singoli perde in parte la direzione e rischia di smarrirsi.
Ovviamente ci sono delle eccezioni, ovvero persone che al contrario si gettano a capofitto nella cronaca, approfondendo di continuo i temi attraverso qualsiasi mezzo, il che offre loro l’illusione di padroneggiare il tema e di averne in parte il controllo, così da ridurre quella sensazione di indefinizione che psicologicamente è dura da sostenere.
Queste persone si sentiranno in grado di spiegarvi i meccanismi della proteina spike, la distanza di trasmissione del virus con i droplet e la giusta strategia da applicare per far funzionare la scuola.
Le scelte di ognuno di noi sono in risposta a ciò che l’OMS ha certificato con il nome di Pandemic Fatigue, ovvero una stanchezza mentale di badare a tutte le norme e di vivere tutti i limiti imposti dal periodo.
Personalmente ho cercato di identificare le fonti che la generino e mi sono autoprescritto il distanziamento sociale, con qualsiasi mezzo di comunicazione e di contatto, da qualsiasi persona cara o meno, che abbia la pretesa di sapere realmente e fino in fondo cosa stia accadendo.